Giovanni Arpino nacque a Pola il 27 gennaio 1927 da genitori piemontesi. Si trasferì prima a Bra, dove aveva trascorso la giovinezza, salvo poi eleggere Torino come “città patria”, amatissima, diceva, “tenendo però sempre un piede altrove”, per non smarrire una misura più concreta e prosaica degli uomini e delle cose della vita.
Laureatosi con una tesi su Esenin nel ’51, nell’anno successivo esordì come romanziere da Einaudi. Lavorò sempre in parallelo sui quotidiani, “La Stampa” e “Il Giornale”, come critico (ma anche come eccellente giornalista sportivo) oltreché nella letteratura come scrittore. Fu uno degli scrittori torinesi più magici e affascinanti. Personaggio ruvido, ironico, magari anche infelice, certo ignorava il bon ton e diceva pane al pane e vino al vino. Con sottile indagine affrontò nei suoi racconti e romanzi i conflitti psicologici tra individui, e tra individuo e società, nel periodo che va dal boom economico fino agli anni di piombo. Perché Arpino, diversamente dai suoi contemporanei, Cesare Pavese e Beppe Fenoglio, non rinunciò mai a compromettersi con il suo tempo, a rispondere alle sollecitazioni dell’attualità, magari sulla labile onda dei titoli di giornale. La sua fu una scrittura varia, che scorre dall’elegiaco all’ironico al grottesco. Abile nel muoversi con disinvoltura fra letteratura e mass media, specchio dell’esistenza nel suo svolgersi più defilato e romanzesco, senza rinunciare alle seduzioni del fantastico e del surreale, Arpino non fu solamente scrittore raffinato e brillante ma polemista vivace e cronista sportivo incisivo, straordinario testimone del suo tempo. Nessuno come lui ebbe questa capacità di anticipare il futuro, mode e argomenti.
Giovanni Arpino morì il 10 dicembre 1987 a Torino.
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