Alessandria (Italia), Aprile 1975
Il professore si era appena seduto dietro la scrivania del suo ufficio privato, quando una bionda sui venticinque anni entrò con molta discrezione, portando un pacco di giornali e sfoderando un muto sorriso di approvazione.
Il professor Aztarain pensò: Un giorno o l’altro ti faccio la festa.
La bionda, inguainata in una strettissima minigonna di pelle nera, lasciò i giornali sulla scrivania e se ne tornò sui suoi passi, esponendo la sua parte migliore. L’occhio cisposo del professore si dilatò un po’ più del solito. Quella mattina la vista era veramente spettacolosa. La porta si richiuse ed il professore cominciò a frugare nei cassetti, maledicendo la primavera e la sua passione per i sigari. Ma il telefono trillò furiosamente e la ricerca ebbe subito termine. Alzò il ricevitore e pronunciò il rituale “Pronto”, fingendo una voce stiracchiata da persona poco disponibile ai lunghi colloqui.
– Pronto, Antonio!
Riconobbe la voce dell’uomo.
– Meccucci! Sei proprio tu?
-Temo di sì!
-Sempre il solito allegrone…
-Hai letto i giornali?
-Sono appena entrato in ufficio.
-Sulle prime pagine de La Stampa. Credo che stavolta il drago abbia mosso la schiena…
-Come?
-Ti lascio alla lettura. Telefono io a Corsi.
-Ma…
Click.
La giornata si preannunciava tragicamente telegrafica. Non gli restava che sfilare con poca convinzione La Stampa dal pacco dei giornali, La sfogliò e in quinta pagina trovò il titolo incriminato:
MASSACRO SULLA VOLTRI
Quindici morti sulla Genova-Santhià in un pazzesco groviglio di ventinove automobili e camion.
Antonio sentì una fitta improvvisa all’altezza della sua ulcera. Cionondimeno si sentì affascinato da quanto stava accadendo. E soprattutto lo colpiva il fatto che l’uomo da lui chiamato “Meccucci” avesse usato una delle frasi tipiche del famoso professor Antonio Aztarain.
(Il Drago che muove la schiena… Meccucci che parla come parlo io?! Forse questi 15 disgraziati lo hanno convinto…)
S’immerse nella lettura dell’articolo.
OVADA (dal nostro corrispondente) – Praticamente una intera giornata di lavoro spasmodico per districare la mezz’ora più terrificante della storia degli incidenti automobilistici dell’Italia del Nord. Un massacro che ha segnato la morte orribile di quindici persone e che lascerà segni indelebili sul corpo di molti dei cinquantasei feriti. Si è parlato di un improvviso ed inaspettato banco di nebbia, di qualche automobile che improvvisamente ha smesso di funzionare o addirittura di un pazzo che, attraversando a piedi l’autostrada, avrebbe provocato il primo incidente che ha aperto la tragica catena dei tamponamenti. Altri, la maggioranza, sono più propensi ad attribuire l’accaduta alla fatalità, a quel tanto di rischio imponderabile che ogni automobilista deve aspettarsi quando sale sulla propria automobile e si accinge a compiere un lungo viaggio. Per evitare che questi quindici morti vengano presto dimenticati, che i loro nomi vadano confusi con le altre decine e decine: di vittime che insanguineranno le strade dei nostri anni futuri, è necessario ricostruire la dinamica dello spaventoso incidente. La tragedia ha inizio alle 8:35 sulla corsia della Voltri che da Genova porta ad Alessandria, ad un paio di chilometri dal casello di uscita a Masone. Gli automezzi che arrivano a fari ancora accesi per la continua teoria di gallerie si trovano improvvisamente davanti ad una vera e propria muraglia di nebbia giallastra che riduce la visibilità a zero. La prima ad entrare in questo tunnel micidiale è una 128 targata Napoli guidata dal rappresentante di formaggi Salvatore Camilleri, il quale tenta di ridurre la velocità e, contemporaneamente, di spostarsi sulla corsia di emergenza. Dietro di lui sta sopraggiungendo un grosso autocarro carico di casse da morto. L’autista, Costante De Pretis, vede la freccia e intuisce la manovra e, frenando alla disperata, riesce a bloccare il pesante automezzo a poche decine di centimetri dalla 128. Ma la prontezza del De Pretis risulta del tutto inutile: passano pochi istanti ed un camion frigorifero, guidato da un calabrese, piomba a tutta velocità sull’automezzo che lo precede. L’urto è violentissimo. La 128, colpita a sua volta, viene scagliata nella scarpata trascinandosi appresso lo sfortunato Camilleri che era già uscito all’esterno, felice per lo scampato pericolo. Arrivano altre automobili, altri autocarri, mentre la nebbia giallastra si infittisce. Alcune bare, fuoriuscite dall’autocarro del De Pretis, a causa del tremendo impatto, si sono sparpagliate sul selciato e formano un’ulteriore aggravante all’imprevisto ostacolo della nebbia e i guidatori cercano di frenare in tutti i modi i loro automezzi. Un gigantesco autofreezer piomba sul groviglio tamponando auto e camion fermi. Nell’urto si spalancano i portelloni posteriori e, come di già accaduto per le casse da morto, il carico, in questo caso formato da quarti di manzo e di vitello, si sparge sull’asfalto, rendendo più allucinante e macabra la scena. È poi la volta di un altro autocarro che, dopo un pericoloso testa-coda, si ferma di traverso bloccando l’intera sede stradale. Non c’è più possibilità di controllo: tutte le auto, tutti i camion che piombano dentro l’inspiegabile nebbia gialla non fanno altro che rendere più agghiacciante il groviglio ormai inestricabile di carcasse distrutte. Arriva una 124 targata Alessandria che si incastra sotto l’autocarro che sbarra la strada: i quattro occupanti dell’autovettura, tutti operai dell’ENEL, cercano di trascinarsi fuori dalle lamiere contorte.Sopraggiunge un’altra autovettura, poi un grosso pullman delle linee extraurbane di Genova e Campo Ligure. La pesante massa dell’autocorriera stritola letteralmente le due automobili. I morti non si contano. Ma la fase più terrificante del massacro si raggiunge con l’arrivo di una grande bisarca carica di utilitarie, di una Mini Morris con quattro persone a bordo e di un camion carico di vernici. L’incidente si è ormai trasformato in un incubo allucinante di urla e terrore, di pianti e di lamenti, di pezzi di cadaveri sparsi qua e là tra le lamiere contorte. C’è un’auto, una milletre, che arriva a tutta velocità e s’infila sotto il pianale della bisarca. dal serbatoio squarciato esce la benzina che prende immediatamente fuoco, arrostendo al completo la famiglia Fierro. Mentre accorrono i primi soccorritori, sull’altra corsia, quella in direzione di Genova, ha luogo la seconda parte della tragedia. Anche qui c’è un incidente che ha coinvolto diverse macchine: i danni però sembrano meno gravi. Un grande autocarro carico di arance e limoni è riuscito miracolosamente ad evitare le tre o quattro macchine ferme nella bruma giallastra.Tutto sembra risolto per il meglio fino a quando il rombo di un potente motore preannuncia un’altra tragedia. Un pullman carico di pellegrini che stanno tornando da Lourdes piomba sulle macchine ferme. L’autista cerca all’ultimo istante di evitare l’urto frontale, ma ogni sforzo è inutile. Nell’impatto la parte destra del pesante automezzo viene tranciata di netto: i corpi di don Benito Trancon, l’organizzatore del pellegrinaggio , e di due donne cadono privi di vita sull’asfalto. Il miscuglio sulla strada è raccapricciante: cadaveri con terribili mutilazioni, carcasse di manzo e di vitello, borse da viaggio, casse da morto, arance, limoni, scatole di vernice. Il dramma è quasi arrivato alla sua conclusione. La nube giallastra che ha coperto in un tunnel mortale poco più di mezzo chilometro di autostrada si dirada improvvisamente com’è venuta. I contadini di Masone che dai campi al bordo dell’autostrada hanno assistito impotenti al disastro dichiareranno in seguito che di quelle nebbie improvvise, fitte e impenetrabili, se ne vedono spesso in quel tratto di strada, ma mai in quel periodo e di quel colore. Dopo parecchie ore di duro lavoro, le autorità sono in grado di tracciare un primo bilancio della sciagura: quindici morti, sessantotto feriti (di cui sette gravissimi), ventinove automezzi, tra grandi e piccoli, completamente distrutti. C’è da chiedersi come tutto questo sia potuto accadere…
Il vecchio chiuse il giornale, cercando di deglutire senza riuscirci, In gola gli si era formato un nodo che gli risvegliava dolorosamente i succhi gastrici ancora in fase di quiete. Altro che movimento della schiena. Questa volta aveva sgroppato di brutto.