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Gli ebrei in Piemonte

2.1. Notizie su Argon
Nel luglio del 1806 Napoleone convocò a Parigi un’assemblea composta da centoundici notabili ebrei. Al culmine della propria potenza Napoleone intendeva affrontare e possibilmente risolvere la questione ebraica, innanzitutto sul piano pratico, regolando le condizioni di vita degli ebrei sparsi in tutto il suo vasto impero, con la segreta speranza di «farli entrare come francesi nella compagine dello stato» (A. Milano). L’assemblea venne convocata allo scopo di dare una risposta a dodici quesiti che toccavano questioni cruciali come la poligamia, il divorzio, le relazioni fra ebrei e cristiani, la nomina dei rabbini e i limiti della loro autorità, le professioni ammesse, la liceità dell’usura, la vera patria degli ebrei.
Della trentina di rappresentanti giunti dal regno italico, circa la metà veniva dal Piemonte (nessun delegato veniva dalla Toscana o dagli Stati della Chiesa, fuori della giurisdizione francese). Fra i tredici esponenti delle comunità piemontesi troviamo due rabbini:Giosuè Segre di Vercelli e Elia Aron Lattes di Torino. Una rappresentanza cospicua, che fa riflettere sul conseguente legame forte che verrà instaurandosi, nei decenni successivi, anche dopo la scomparsa di Napoleone, fra ebraismo subalpino e cultura francese.

Un canale privilegiato, un legame indissolubile, una consuetudine che porterà gli ebrei piemontesi a guardare sempre alla Francia
– alla sua cultura, alla sua politica – come alla culla delle libertà. Un rapporto che si consolida nell’Ottocento, ma non si esaurisce nel Novecento: si può dire che esso anzi perduri fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando, per non pochi ebrei piemontesi perseguitati in patria, sarà in prima istanza la Francia, non la Svizzera, la terra d’asilo prescelta lungo il cammino dell’esilio.
I rapporti di vicinanza geografica e di contiguità storica fra le famiglie ebraiche del Piemonte meridionale e il Nizzardo, da sempre assai stretti, irrobustirono in età napoleonica e nella prima metà del XIX secolo: avranno il momento di massima espansione fra la prima e la seconda guerra d’indipendenza, e in modo particolare al termine del cosiddetto «decennio di preparazione», nel 1859, quando la cessione di Nizza alla Francia porrà molti di fronte ad un bivio, ad una difficile scelta (per molte famiglie, sarà questa, fra l’altro, la prima occasione per manifestare una chiara ed irrevocabile “scelta”
italiana, patriottica).Che in altre parole “l’egualitade” – per adoperare i versi di Carducci, un poeta che infiammerà gli animi di molti ebrei piemontesi cresciuti nell’Ottocento – avanzasse «sotto il tricolor vessillo» di Napoleone Imperatore era una convinzione assai diffusa tra coloro soprattutto che, sempre nel Piemonte meridionale, e in modo particolare fra Ceva e Mondovì, avevano visto con i loro occhi affacciarsi all’orizzonte Napoleone in persona, «da Monte Zemolo uscendo al Tanaro sonante», come recita ancora la poesia Bicocca di San Giacomo di Giosuè Carducci, una sorta di sacro testo della memoria collettiva ebraica della prima emancipazione. Da allora in poi è impressionante osservare la crescita esponenziale di bambini ebrei cui non verrà più dato un nome biblico, ma si deciderà di chiamarli Bonaparte. […]

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