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Mio fratello lontano

NASCE

Febbraio 1989. In una tiepida sera a Ngozi, una cittadina sulle colline del nord del Burundi, in una casa di fango e paglia poco fuori città, venne al mondo Floribert.

“È maschio… è maschio… lo sapevo… grazie Signore….” urlando queste parole, il padre François diede il lieto annuncio ai parenti radunati intorno al fuoco vicino alla capanna e tutti esplosero in un canto di gioia.

All’interno, nell’oscurità, la madre Divine era coricata a terra su una stuoia di vimini, col viso stanco e ricoperto di sudore, tenendo tra le mani un fagottino di stoffa rossa con dentro il bene più prezioso.

La vita per un bambino che nasce in Africa è subito durissima, bisogna combattere fin dai primi giorni con le più svariate malattie e soprattutto con la fame; lo sapevano bene François e Divine che erano ancora due ragazzini ma che, per quel loro primogenito, erano disposti a tutto.

François era un ragazzo di 22 anni, non tanto alto ma di corporatura robusta, conosciuto nel quartiere perché da qualche anno assieme a suo fratello maggiore aveva aperto una piccola “baraze” (baracca) dove aggiustavano biciclette, in assoluto il mezzo di trasporto più usato da quelle parti. Non era certo il massimo dei lavori, però François era contento perché riusciva sempre a racimolare qualche franco per comprare qualcosa da mangiare al mercato.

Divine era una bellissima ragazza di 19 anni, con un sorriso fantastico e occhi profondi; come quasi tutte le donne, portava i capelli cortissimi, migliore difesa contro l’infestazione di pidocchi. Da bambina aveva quasi sempre lavorato nei campi, dava una mano a sua mamma e da lei aveva imparato una buona tecnica per coltivare le banane e soprattutto la manioca, principale alimento nell’Africa equatoriale.

Un giorno, mentre era al mercato a vendere banane, incontrò François e i due si amarono fin da subito. Divine adorava il suo modo di scherzare con lei e si sentiva protetta tra le sue braccia. Da quando era nato Floribert, Divine viveva in simbiosi con il figlio. Tutte le mattine lo avvolgeva dentro un grosso telo colorato, se lo legava sulla schiena e andava a lavorare nei campi sopra casa. Coltivava la manioca, raccoglieva le banane, allattava il piccolo, preparava da mangiare. Era una vita durissima soprattutto per una donna che aveva partorito da pochi giorni, ma in Africa la vita delle donne è quasi sempre così perché sono loro che mandano avanti la famiglia.

Dopo qualche mese dalla nascita, appena François riuscì a mettere da parte abbastanza franchi, Floribert venne vaccinato e, come spesso accade in Africa, svermizzato (quasi tutti i bambini nei paesi del terzo mondo nascono con i vermi nell’intestino). I genitori erano contenti perché i medici non avevano diagnosticato malattie e malnutrizione; questo voleva dire che tutti gli sforzi fatti per crescere il loro figlio erano stati premiati.

I primi anni di vita di Floribert furono sicuramente i più sereni della sua vita. Imparò a camminare, poi a correre a giocare con gli altri bambini scalzi per le vie polverose del quartiere; la madre gli dava qualche piccolo compito come quello di andare a prendere l’acqua nel pozzo al centro della via o raccogliere i legnetti per il fuoco. Viveva felice tra l’amore della madre e gli insegnamenti del padre.

Ben presto tutto cambiò.

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