Il vitellino Teo guardava gli altri vitellini che si rincorrevano nell’erba alta di Prato Gioioso.
Di solito lui, proprio lui che correva così veloce, non partecipava mai a quelle galoppate felici: tutto questo per via del fatto che non riusciva a fare MOOUU come tutti quanti.
La cosa andava avanti da mesi.
La sua mamma gli voleva molto bene e comprendeva il suo disagio. talvolta si accorgeva dei suoi occhi arrossati, dell’espressione mesta, del suo ciondolare solitario sbirciando di sottecchi quel che facevano i suoi coetanei.
Allora gli domandava:
-Ti vedo triste… hai voglia di dirmi cosa succede?
Lui dapprima non si confidava, come volesse serbare un segreto fastidioso.
Poi si lasciava andare e le raccontava che il non saper fare MOOUU era come avere uno steccato fra sé e gli altri, una barriera invisibile che lo rendeva insicuro, timoroso, smarrito e che gli impediva di sentirsi accettato.
Facevano i compiti insieme, lei lo aiutava, lo incoraggiava, poi la sera se lo accucciava accanto, leccandolo a lungo, coccolandolo e cercando di farlo ridere.
Perché Teo era ogni giorno più abbattuto.
A volte un groviglio di pensieri lo impigliava come un pesce nella rete e ruminando, gli veniva mal di pancia, il dolore lo faceva piangere e daccapo tornava l’angoscia.
Gli pareva di essere un vitellino uguale a tutti quanti gli altri, con i suoi zoccoli, la sua coda, le piccole corna che spuntavano sulla testa, i suoi occhi marroni, il suo manto chiazzato di nero e le sue orecchie capaci di scacciare le mosche e sentire i suoni più lontani e leggeri, come quelli degli insetti o degli uccellini nel cielo.
Eppure non riusciva a fare MOOUU nemmeno sforzandosi ore e ore. Ci provava sempre tutti i giorni.
Seguiva le lezioni della maestra Flora meglio che poteva, anche se andare a scuola era davvero una pena per lui.
-L’unico modo per imparare a fare MOOUU è scrivere e leggere perfettamente: MOOUU! Si scrive: MOOUU!!! – strillava lei. E aggiungeva categorica:
-E se non leggete MOOUU non riuscirete mai a fare MOOUU, cacciatevelo bene in zucca!
E Teo scriveva, scriveva, scriveva, scriveva e rileggendo si accorgeva di aver scritto cose strane, esattamente quelle che avevano veduto i suoi occhi, lettere ondeggianti, intricate, capovolte, una sopra l’altra: lui ci provava, copiava e ricopiava e a volte mancava una U o una O oppure la M somigliava ad una N o viceversa. Un guazzabuglio!
-Cosa diamine hai scritto qui!- lo sgridava la maestra Flora.
Allora Teo sbirciava il foglio di Bea Dolce, una compagna di cui era innamorato cotto e sul suo foglio a caratteri tondeggianti e regolari: ecco un bel MOOUU, perfetto, elegante, aggraziato, com’era lei, il suo amore, la sua chimera. Peccato fosse la fidanzata di quel gradasso di Rocco Bullo…
Quando non ne poteva più, si incamminava lungo un sentierino che portava al bosco e assicuratosi d’esser solo, dietro un cespuglio di sambuco, alzava la testa (lo vedeva fare da tutti gli altri), prendeva un bel respiro, apriva la bocca, tirava fuori la lunga lingua nera e poi:
-NouOU… UUMoO… UuOoM… NooMUU… MoooAAA
Cappero! Gli uscivano certi versacci a volte anche complicati, specie quando era stanco, con vocali e consonanti che litigavano fra loro e si mischiavano in suoni improbabili e confusi:
-IIOOMT… UADoiuSI… JOoSAUP
Se qualche spione lo sentiva… sai le risate!
Perfino i vitellini neonati ridacchiavano! I grandi scuotevano il testone, la mamma s’incupiva, Nonno Toro pensava fosse malato e invitava la maestra Flora a farlo esercitare di più, ma i suoi amici intanto lo prendevano in giro e lo lasciavano solo, considerandolo un po’ tocco, un vitello incapace di fare un MOOUU come si deve.
Teo aveva un altro posto tutto suo, un piccolo spiazzo fuori mano, sulla riva del fiume Chiaretto, sotto l’ombra di una grande quercia. Lì se ne stava meditabondo ad osservare gli spruzzi dell’acqua domandandosi:
-Perché non sono uguale a tutti gli altri?
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