Tutto cominciò, per quanto mi riguarda, con una tartaruga ninja spedita in Argentina dentro una busta. Era un pupazzetto di plastica, ovviamente verde scuro, compratomi dai miei genitori in non so più quale occasione. Probabilmente al mare, visto che durante le famigerate due settimane di luglio in riviera, che detestavo, la mia famiglia doveva fare i salti mortali per tenermi buono. E comprarmi una tartaruga ninja, allora come ora (spoiler!), è un ottimo modo per ammansirmi.
C’erano cinque tartarughe, nella confezione inutile dire quanto insensato tale numero mi apparisse, relativamente a quei ben precisi personaggi. Le Tartarughe sono quattro e tutte le volte che qualcuno ha tentato di farle crescere di numero, ha combinato disastri. Però i distributori, o confezionatori, o grossisti che fossero, decisamente non guardavano abbastanza cartoni animati. Inoltre la colorazione dei pupazzetti era uniforme, quindi i giovani mutanti non si potevano distinguere dal colore della mascherina. Li potevi invece riconoscere dalla minuscola lettera iniziale incisa sulla fibbia della cintura. Tutto questo preambolo per dire che nel pacchetto c’erano due Raffaello, credo: ed essendo una tartaruga doppia, anche la mia mente di bambino borghese riuscì a concepire l’idea, visto il doppione, di rinunciare a uno dei pupazzetti. Il Raffaello della dimensione parallela poteva fare un lungo viaggio e magari andare a raddrizzare i torti dall’altro lato dell’oceano.
La sorella di mia nonna con il marito emigrarono in Argentina nel Dopoguerra. Ci fecero visita una volta, quand’ero bambino, ma le rimpatriate con i parenti implicavano la presenza di troppi “vecchi” per riguardarmi. Più interessante era invece la notizia che la zia avesse, là a Buenos Aires, un nipotino poco più giovane di me. Nonna e sorella si erano tenute in contatto attraverso gli anni con un numero interminabile di lettere. Di tanto in tanto si telefonavano anche, in tempi più recenti, ma quella della corrispondenza mi appariva quasi come un rito magico, a cui nonna si dedicava con cura e attenzione nella sua stanzetta del cucito.
Scoprii da lei, o dal nonno, che al cuginetto Juan piacevano “tarta ninja”. Da lì all’idea di mandare il Raffaello spaiato, piccolo abbastanza da entrare nella busta, il passaggio fu breve. Ho conosciuto di persona Juan Franco lo scorso anno. Non gli ho chiesto della tartaruga ninja perché, lo ammetto, me ne ero praticamente dimenticato fino all’altro ieri. Eppure, l’aneddoto che ho appena raccontato non poteva essere più adeguato per introdurre questo libro. Se non esistesse, non avrei saputo inventare qualcosa di altrettanto centrato.
Perché è importante l’aver spedito, da bambino, una tartaruga ninja in Argentina? Perché la mia era la prima, inconsapevole adesione al linguaggio globale dell’animazione e del cinema (di ascendenza fumettistica o pulp; oggi parlerei di “immaginario nerd). C’era un bambino appena più piccolo di me in una nazione all’altro capo del pianeta che ancora oggi non ho avuto occasione di visitare, che parlava una lingua diversa dalla mia. Viveva esperienze e vedeva il mondo in modi forse per me incomprensibili. Eppure, a lui mi univa l’entusiasmo nei confronti delle avventure di un gruppo di personaggi di fantasia – piuttosto bislacchi, lo ammetto, visti con gli occhi di un adulto – che tra l’altro erano inconfondibilmente riconoscibili per colori, gesti, suoni.
Sembra che uno degli sport più diffusi, in questo ventunesimo secolo ormai ampiamente incamminato, sia rimarcare le differenze che ci dividono. Le distanze fisiche, le lingue e le abitudini contrastanti fanno la loro parte, certo; eppure sembra che sempre più spesso ci limitiamo a giudicare gli altri in base a pochi, sparpagliati pregiudizi nazionali o etnici. Spunti che andrebbero bene appena per le barzellette eppure che, complici imbonitori di professione, ormai prendiamo per buoni anche nella vita quotidiana.
Internet ha rimpicciolito il mondo e chiunque, se vuole farsi trovare è a portata di pochi click. Posso scrivere in inglese proporre i miei racconti a riviste ed editori americani mentre attendo commenti su storie già scritte da parte di due amici di lingua madre inglese, uno in Giappone, l’altro in Canada, (questo sta succedendo davvero, per la cronaca). Abbiamo sottomano, gratis o quasi, strumenti impareggiabili per apprendere, scoprire, migliorare il modo stesso in cui pensiamo; strumenti che i migliori intellettuali di soli 30 anni fa ci avrebbero invidiato. Eppure usiamo la connessione a internet per sbraitare luoghi comuni su questo o quel social network.
Non sto dicendo che è colpa nostra, badate bene. Fin dagli albori dell’Umanità, non sono stati quasi mai gli articolati discorsi a guidarci, bensì i simboli. Dalle pitture rupestri ai mosaici nelle cattedrali, dall’instaurarsi delle democrazie a Neil Armstrong che mette per la prima volta lo stivale sulla Luna in diretta mondiale. Potrei sbagliarmi, ma sono convinto che molti simboli positivi che hanno guidato le nostre azioni, provenienti dal Novecento, siano ormai irrimediabilmente logori. Non sono più in grado di fare presa, vengono a volte sbandierati da esponenti politici che poi, alla prova dei fatti, rappresentano tutt’altro. Non credo che nuovi simboli possano essere fabbricati, sia chiaro. Ma credo che già ne esistano di vivi e vitali; in grado di risuonare nel mondo, superando confini e barriere linguistiche in una maniera che all’apparenza potrebbe sembrare impossibile.
In questo momento, in Perù, c’è una statua di 4 metri raffigurante Groot, l’uomo-albero dei Guardiani della Galassia. Se è stata costruita e viene visitata, sarà perché significa qualcosa per molte persone. La saga di Star Wars, rilanciata dopo l’acquisizione Disney, ha saputo con Il risveglio della Forza trasformarsi in un successo senza precedenti in sala anche in Cina; questo, dopo che già il primo Guerre Stellari del 1977 lasciò il segno nella storia del cinema mondiale per la capacità di fare breccia nell’immaginario, e oggi era ed è pietra di paragone per ogni nuovo Blockbuster. Potrei perdere tempo in molti aneddoti su come io sia riuscito a farmi capire in nazioni in cui non conoscevo la lingua semplicemente facendo il verso di uno Wookiee. Ma perdereste la già limitata stima che avete di me, mentre vi addormentereste prima di finire la lettura. E siamo solo all’introduzione!
Per quanto mi riguarda mostri, supereroi e navi spaziali sono i più importanti simboli globali positivi che abbiamo a disposizione, in questo complicatissimo inizio di ventunesimo secolo. Hanno significati e insegnamenti che trascendono le singole culture, pure essendo fortemente legati – come per la musica rock e pop – al momento esatto in cui ne abbiamo avuto esperienza la prima volta, da bambini oppure adolescenti. Ed è normale che perciò per ciascun abbiano un significato leggermente diverso, pur portando con sé sempre l’immediata riconoscibilità e apprezzamento.
Mi sono permesso così di stilare un inventario di personaggi, luoghi, elementi che fanno parte di questo impressionante immaginario globale. Figlio della “cultura nerd”, dell’epoca in cui determinate opere, autori e linguaggi erano appannaggio di una nicchia, e che dalla stessa nicchia ha spiccato il volo per arrivare a parlare trasmettere idee ed emozioni nei modi e luoghi più disparati. Non tutte le voci provengono dalla stessa nazione o decennio, sebbene gli USA e gli anni ’70/’80 siano inevitabilmente preponderanti. Per alcune voci di certo sovrastimo l’importanza, trascurandone altre possibili a cui sono meno legato, approfittando del gioco intellettuale del dizionario: una sola voce, rigorosamente per lettera dell’alfabeto. Cercando di non ripetermi, di offrire punti di vista insoliti, di contestualizzare e raccontare perché quel determinato personaggio o elemento o ambientazione, siano significativi.
Certo si tratta di un inventario emotivo. Perché le enciclopedie non mi interessano – riguardo all’immaginario contemporaneo, quanto meno – e perché il mio personale è l’unico punto di vista che sono in grado di offrire, oggi e direi per sempre (salvo strabilianti invenzioni cyberpunk dietro l’angolo). Non ho pretese di esaustività. consideratemi piuttosto una guida di viaggio un po’ cialtrona, con parecchie cose da raccontare e il desiderio di intrattenervi mentre lo fa. Allacciate le cinture, occhio all’assenza di gravità quando saremo nello spazio e, se indosserete gli zaini protonici, ricordatevi di non incrociare i flussi.
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