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Diario Segreto – da Cartosio ai Lager Nazisti

27/7/1945

Addio ad Amburgo

Si dilegua lentamente la notte profonda che da due anni è andata accumulandosi nell’anima. Il sole infinitamente atteso sorge sfolgorante all’orizzonte verde sanguigno della vita. Una parentesi di sofferenze si chiude in una estenuata fuga di vibrazioni che scuotono ogni fibra, ogni nervo.

Amburgo maledetta e martoriata, io ti lascio!

I tuoi ruderi spettrali che pare si levino a maledire la terra, non hanno potuto celarmelo il mio sole, ed io gli corro incontro col cuore annegato in una nebbia immensa, eguale, che mi fascia di voluttà senza confronti.

Sotto il tuo cielo nemico ho penato, ho sofferto, ho pianto.

Cento giorni, dei miei vent’anni, si sono dispersi tra i cumuli nerastri delle tue rovine. Tu li hai seppelliti, li hai bevuti con avidità di una strega malvagia. Le mille voragini che l’acciaio gonfio e sibilante ti ha raso, li hanno divorati. È terribile il tuo debito verso la gioventù. Ma non hai vinto. La vita è davanti. La marcia e la conquista iniziano adesso. Con sicurezza ognora crescente, la vita che mi hai negata, mi sorride, m’invita con un veemente richiamo. Mi pare di udire lontani e cupi come tuoni che vadano morendo su un mare senza confini, i boati che ti hanno scosso, continui ed insistenti; e nel ripensarli il cuore si arresta. Quante volte nelle tue viscere maledette ho atteso la fine? Quanti i giorni che io ho temuto fossero gli ultimi dei miei freschi anni! Ma non hai vinto. Ti sfuggo ormai.

Alle mie spalle un corteo senza fine di bianchi spettri, si agita lento sul passo d’una danza funebre. Le mani che ti hanno costruita, o morta città, si levano scarne dalle tue macerie, come se volessero ancora aggrapparsi alla vita. Ma le tue rovine non hanno appiglio e crollano. Crollano ancora senza requie. Il tuo silenzio non è pace; è silenzio di morte. Amburgo maledetta e martoriata, addio!

Vedo nelle tue altre rovine più mie… più care… perché di cose care!

In questo cento altre città ti somigliano, ma tu non sei quelle. Ed io ad esse ora corro e mi affanno! Mio malgrado un po’ della mia vita ti rimane, e tu la ergi come un trofeo, tormentato di sangue, di fame, di ingiurie. Nei giorni dell’esasperazione, ti ho odiata città, ti ho odiata con tutta le veemenza di cui il cuore era capace, ti ho odiata nei tuoi uomini, nelle tue donne, nelle tue vie, nella tua aria. Ora il cuore trabocca d’amore, di desiderio, di speranza per altre creature, per un’altra terra. Il tuo ricordo ci fascia così lentamente di melanconici rimpianti. Un’altra terra, un altro cielo più limpido del tuo mi attende. Volti cari, sorrisi, cuori trepidanti vivono laggiù, oltre la barriera dell’infinito che mi ha lungamente ossessionato, e mi attendono. Ad essi io corro, o città del mio tormento, e ti lascio. Mentre mi allontano scende lentamente a ricoprirti un immenso manto di luce, ed in esso i tuoi monconi paiono fiori abissali sparsi per una danza di mostri e di sirene. Tutto sommerge man mano quella luce. In essa indistinto dapprima, poi sempre più netto, sempre più noto, appare un volto luminoso. È il volto caro della creatura più sublime che sulla terra io abbia. E mi guarda… e piange e ride. Asciuga quelle tue lacrime, Mamma! Ti vengo incontro… non te ne andare… aspettami così con le braccia aperte… arrivo mamma… arrivo…

 

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