Oggi Pietro Reverdito è un tranquillo pensionato, di 93 anni, che dedica una parte del suo tempo a riordinare i tanti ricordi della sua lunga vita che si era aperta, quando aveva poco più di 16 anni, con la partecipazione attiva alla lotta partigiana con il nome di Pedrin, prima a Ponzone e dopo nella Langa, a Roccaverano. Da questa sua esperienza a preso s aprile punto per la pubblicazione di di alcuni libri. Nell’avvicinarsi del 25 aprile accetta volentieri di parlare di quegli anni difficili e dei sentimenti che allora provavano quelli che, come lui, avevano fatto una scelta di libertà.
Nei pensieri di voi partigiani come avreste voluto che diventasse l’Italia alla fine della guerra?
Prima di tutto pensavamo ad un futuro uguale per tutti, senza distinzioni per classi. Dovevamo essere uno uguale all’altro, ma invece no è andata così. Nei nostri sogni doveva ritornare lo spirito di eguaglianza che era stato calpestato a lungo dal fascismo e dalla disinformazione operata dal suo regime.
Nel dopoguerra i partigiani hanno avuto i riconoscimenti che a suo parere meritavano?
Sui riconoscimenti ci sarebbe molto da dire. Dopo il 25 aprile Morgan, allo scopo di disintossicare il nostro fisico, ci portò per 15 giorni ad Albissola Mare. Un giorno che ci consentì di rimetterci in sesto fisicamente e moralmente. Intanto, avevamo fatto i conti con il Comandi di Savona per avere la certezza che il servizio fatto come partigiano ci fosse riconosciuto. Due anni dopo ci fu anche dato un riconoscimento personale, circa 6 o 7 mila lire in premio oltre ad un paio di calzoni, una camicia ed un giubbotto che arrivavano dai soldati americani.
La delusione più grande che ha provato?
Subito è stata quella di constatare che non si realizzava politicamente quello che si sperava: la chiarezza della politica. Ma sulla politica ci sarebbe molto da dire, penso solo alle mortificazioni che ha ricevuto il nostro Mauri (il maggiore dell’esercito Enrico Martini che divenne valoroso comandante in capo delle formazioni Partigiane Autonome) quando è finita la guerra. L’hanno mandato a Cuneo dove il CNL non lo ha voluto valorizzare con la motivazione che non era abbastanza conosciuto. Roba da matti. Fatti che lui ha avuto il coraggio di denunciare anche nei suoi libri.
E oggi qual è il suo messaggi ai giovani?
Per anni, a modo mio, ho cercato di chiarire come i problemi potevano essere affrontati e risolti. Ma la politica ha preso il sopravvento su tutto. La cosiddetta democrazia oggi non si basa sul rispetto degli altri ma sul numero. SE siamo in tre a pensarla nello stesso modo, anche se diciamo cose giuste, contiamo sempre e solo come tre.
L’intervista integrale a cura di O.P. su L’Ancora del 19 aprile 2020
ACQUISTA IL LIBRO per conoscere la storia di Pietro Reverdito “Pedrin”