Il Sole 24 Ore Domenica 3 febbraio 2019
Manlio Calegari. Con la nipote Felicita il protagonista, classe 1920, rivive la Resistenza: è la replica più meditata, sensibile e degna alla vulgata di Pansa
Questa non è una recensione. Non potrebbe esserlo, poiché il recensore nemmeno avrebbe capito – qui – il genere di libro che ha letto. Che cos’è Behind the Lines, di Manlio Calegari? È un libro di storia, è una monografia sulla Resistenza italiana, o è un saggio sull’antifascismo, e sull’irreparabile sua crisi? Oppure è un saggio sulla cosiddetta storia orale, la sua forza, i suoi limiti? Se invece è un romanzo, è un Bildungsroman in forma di diario? È il romanzo di formazione di Felicita Pessina, una ragazza di Santa Margherita Ligure nata all’indomani del Sessant’otto e che diventa grande, fra il 1990 e il ’91, scoprendo la storia di “Alba”, il suo prozio partigiano? Oppure è il romanzo di una generazione, appunto quella fattasi adulta nell’Italia e nel mondo dei primi anni Novanta, fra i traccianti della guerra del Golfo e le granate della guerra in Jugoslavia?
Non potendo essere una recensione, questo è un attestato di ammirazione. Ed è un invito accorato a procurarsi Behind the Lines. A leggerlo, a rileggerlo, a passare parola. Perché l’inafferrabile libro di Calegari è un testo fra i più importanti che siano stati scritti sulla Resistenza da un quarto di secolo in qua. Proprio all’inizio di quegli anni Novanta: dai tempi di Claudio Pavone, e del famoso Una guerra civile, il libro di Calegari costituisce la replica più meditata, più sensibile, più degna, alla vulgata antiresistenziale che è andata imponendosi – nel frattempo – come il discorso ideologicamente e mediaticamente vincente: la vulgata di Giampaolo Pansa, fra “sangue dei vinti” e “prigionieri del silenzio”, “gendarmi della memoria” e “grande bugia”. Il grande pasticcio di Pansa.